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Sulle risorse delle città ultima parola alle Regioni

di Gianni Trovati

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6 ottobre 2008

È stata tra le parti più travagliate nel cammino che ha portato la delega sul federalismo fiscale al via libera definitivo in consiglio dei ministri, e promette di creare più di un grattacapo anche nella fase di costruzione dei decreti applicativi. Gli articoli che disegnano le entrate future dei Comuni sono cambiati più volte, e hanno visto la luce tra tagli, correzioni e minacce continue di rottura: «Un testo generale e generico», ha commentato con scarso entusiasmo il presidente dell'Anci Leonardo Domenici, e in effetti gli aspetti da definire sono tanti.

La partita si è giocata sull'entrata propria, chiesta a gran voce dai sindaci dopo che il dibattito sul «ritorno dell'Ici» ha fatto sparire rapidamente dal testo l'idea di fondare l'autonomia comunale su una «service tax» basata sul Fisco immobiliare. Il testo approvato dal consiglio dei ministri di venerdì scorso prevede per le casse dei Comuni quattro entrate: la compartecipazione ai tributi erariali, le addizionali, i tributi propri e il fondo perequativo. Detta così, di rivoluzioni rispetto all'assetto attuale non c'è traccia, visto che compartecipazione, addizionale all'Irpef e tributi propri già esistono. Scompaiono, perché non avrebbero senso in un sistema federale, i trasferimenti, ma il fondo perequativo interverrà in aiuto di chi non ce la fa da solo.

Se non cambiano i protagonisti possono però mutare, e di molto, i ruoli giocati da ognuno di loro sul palcoscenico delle entrate comunali. Come per le Regioni, anche le attività dei Comuni si divideranno in due famiglie: quella delle «funzioni fondamentali», finanziata con tutte e quattro le voci di entrata previste dal Ddl, e le «altre funzioni», a cui dovranno pensare i tributi propri e la perequazione. Sul primo gruppo, cioè sul cuore delle future attività comunali, il finanziamento sarà garantito solo per i fabbisogni «standard», e non si allungherà come un elastico per coprire tutti i livelli di spesa.

Di standard, quindi, si parlerà molto nei due anni di tempo che il Governo si è dato per approntare i decreti attuativi. Perché su questo concetto si regge tutta l'impalcatura, e più in basso si fissa l'asticella della spesa «giusta» più arduo diventa il compito di (alcune) amministrazioni locali per rientrare nei parametri senza chiedere aiuti aggiuntivi ai cittadini. Il fabbisogno da finanziare dipenderà prima di tutto dalla capacità fiscale del territorio: se l'insieme delle funzioni fondamentali (la cui individuazione tocca alla Carta delle Autonomie, l'altra gamba del federalismo comunale in cantiere) costa 1.000 per abitante, e tributi ed entrate proprie degli enti locali (solo se applicati ovunque, e ovviamente calcolati secondo un'aliquota fissa) producono 800, il fabbisogno da finanziare resta 200.

Se il Comune oggi spende di più, dovrà chiedere un aiuto aggiuntivo ai cittadini oppure, più saggiamente, cercare di contenere la spesa. Trovare un abito su misura per ognuno degli 8.103 Comuni è impossibile, ma a determinare il prezzo giusto delle attività concorreranno più variabili: la dimensione, la presenza di territorio montano, le caratteristiche sociali ed economiche della zona e il fabbisogno di infrastrutture.

Statistiche e correttivi a parte, la struttura disegnata dal Ddl delega lascia scoperto il nervo della distribuzione dei fondi perequativi, tradizionale ragione di scontro tra i Comuni e i Governi che hanno tentato la sfida federalista. Nel testo Calderoli, come accadeva nell'ipotesi approvata solo in prima lettura dal Governo Prodi, la perequazione passa dalle Regioni, che girano ai Comuni le risorse assegnate e possono anche intervenire con valutazioni autonome sulla spesa standardizzata da finanziare.

Certo, facendo tesoro dell'esperienza il testo Calderoli si premura di costruire un sistema di garanzie per le casse locali, prevedendo un intervento diretto dello Stato se la Regione non trasferisce in fretta i fondi e dando peso alle sedi comuni, a partire dalla Conferenza Unificata, per accordarsi sui criteri. Ma il rapporto fra sindaci e governatori ha storie diverse in ogni Regione, a partire dalla tormentata vicenda del trasferimento di funzioni verso il basso, e l'idea di blindare i finanziamenti tramite un'intesa diretta con lo Stato rimane in testa alle priorità dei Comuni.

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